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Il tuo bambino ha 6 mesi?

categorie: Lo sapevi? 
 
bambino 6 mesi
 
Il benessere del bambino non può prescindere da quello dei genitori. 
I primi mesi di vita del bambino sono ricchi di importanti tappe, entusiasmanti e a volte non semplici per il genitore: dall'allattamento alla gestione della nanna, avere tutte le informazioni per scegliere in modo consapevole è fondamentale.


Lo sapevi?

Di seguito alcuni consigli che puoi mettere in atto in questo periodo per proteggere la tua salute e quella del tuo bambino.
 

Non bere bevande alcoliche

Il consumo di bevande alcoliche durante la gravidanza e l’allattamento ha effetti dannosi sulla salute del bambino. Qualsiasi bevanda alcolica passa la barriera placentare ed è presente nel latte: quando una mamma la beve, anche il bambino la “beve” con lei.
Si fa spesso riferimento alla “unità alcolica” : essa corrisponde a circa 12 grammi di etanolo, contenuti in un bicchiere piccolo (125 ml) di vino, in una lattina o bottiglia (330 ml) di birra, in una dose da bar (30 ml) di superalcolico.
L’alcol, provocando alterazioni ormonali, può inibire la produzione di latte (contrariamente a quanto riportano detti popolari) ed alterarne il sapore. Inoltre, così come altre sostanze presenti nel sangue della madre durante l’allattamento, passa nel latte, con il rischio di alterarne il sapore, e viene “bevuto” anche dal bambino.

 

Di conseguenza, nel sangue del neonato sono dosabili le stesse concentrazioni di alcol (alcolemia) della mamma. Il neonato può apparire sedato, più irritabile, affaticato nella suzione e possono comparire disturbi del sonno. In dosi elevate, l’alcol può comportare un’intossicazione acuta e danni allo sviluppo. Ribadito che l’astensione dall’alcol in allattamento è la scelta più sicura per la salute del neonato, nel caso in cui la mamma abbia assunto 1-2 unità alcoliche è necessario attendere almeno 2-3 ore prima di allattare.

Se è necessario aiuto per evitare il consumo di bevande alcoliche è possibile rivolgersi al Ser.D. della propria città, ad associazioni di auto-mutuo aiuto o al medico curante. È possibile anche chiamare il Telefono Verde Alcol Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, tel. 800 63 2000
 

Non fumare

La raccomandazione a non fumare è oggi universale e ripetuta in tanti ambiti.
Nonostante i rischi per la salute derivanti dal fumo di tabacco siano ormai conosciuti dalla maggior parte delle persone, il tabagismo resta ancora tra i principali fattori di rischio più diffusi e allarmanti, causa delle più importanti malattie croniche prevenibili.
Il fumo, sia attivo che passivo, rappresenta un pericolo anche per la salute del bambino, fin dal periodo preconcezionale.
L’inalazione passiva del fumo di tabacco ha effetti dannosi, avvenga essa in casa o in altri luoghi.

 

I bambini esposti al fumo passivo sono destinati a soffrire di malattie respiratorie (bronchiti, polmoniti, tosse e dispnea) e ad essere ospedalizzati di più dei bambini non esposti. È stato dimostrato che le malattie respiratorie nel primo anno di vita aumentano anche nel caso in cui la madre fumi esclusivamente dopo la gravidanza.

Inoltre c’è evidenza di un lieve aumento di otite ricorrente e di otite media sierosa in bambini esposti al fumo di tabacco. Alcuni dati suggeriscono che il ricorso all’adenoidectomia e alla tonsillectomia è fino a 2 volte più frequente nei bambini esposti al fumo passivo rispetto a quelli non esposti.

Infine il fumo passivo aumenta ulteriormente la probabilità di morte in culla e alcune evidenze suggeriscono che l’esposizione ai prodotti di fumo da tabacco possano comportare un aumento del rischio di cancro nei bambini.

Perciò è raccomandato non fumare in casa e in generale nei luoghi frequentati dai bambini, è importante chiedere a chiunque frequenti questi luoghi di fare lo stesso e non portare i bambini in ambienti dove si fuma.

Se non si riesce a smettere di fumare, non si deve rinunciare ad allattare poiché si priverebbe il bambino di importanti benefici. I bambini a maggior rischio di malattie respiratorie, ma anche di morte in culla (come i figli di madri fumatrici), lo sono ancora di più se non ricevono latte materno.

 

Quando i tentativi di astinenza totale dal fumo dovessero fallire, è necessario adottare , alcuni accorgimenti: ridurre al minimo il consumo di sigarette, evitare assolutamente di fumare prima della poppata, cambiare abiti e lavarsi le mani dopo aver fumato prima di toccare il neonato, non fumare mai in presenza del bambino e, in ogni caso, evitare di fumare in casa o in auto, non condividere il letto con il bambino se non per il tempo necessario per la poppata.

Bisogna comunque proteggere il bambino dal fumo passivo e anche il supporto del padre è fondamentale. Anche le sigarette elettroniche andrebbero evitate in allattamento.

Inoltre, in questi casi, è di estrema importanza indirizzare la neo-mamma a un aiuto e sostegno da parte di un operatore sanitario adeguatamente preparato in merito, con la collaborazione del pediatra di libera scelta.

Fumare in ambienti chiusi e piccoli, per esempio negli autoveicoli, espone adulti e bambini a concentrazioni molto elevate di fumo passivo. Tali concentrazioni rappresentano un rischio per la salute sia a breve (attacchi asmatici) che a lungo termine in caso di esposizioni continuative (infiammazioni croniche, patologie cardiovascolari e neoplasie). Si tenga conto che quando si accende una sigaretta in automobile, pur con finestrino aperto, le concentrazioni di polveri sottili (particelle così piccole da raggiungere le ramificazioni più periferiche dell’abero bronchiale, trasportandovi le sostanze tossiche a loro adese) aumentano considerevolmente, superando spesso i valori limite raccomandati per la salute.

 

Si ricorda inoltre che fumare negli autoveicoli in presenza di minori o donne in gravidanza è vietato dalla normativa vigente.

Quando si parla di “fumo di terza mano” ci si riferisce al fatto che le sigarette rilasciano nell’ambiente residui tossici, che vanno a depositarsi su pelle, capelli, vestiti, tappezzeria, mobili, oggetti, non vengono eliminati dai comuni metodi di pulizia e possono essere rilevati nell’ambiente anche per molto tempo. Un bambino che gioca o gattona sul pavimento avrà quindi molte probabilità di raccogliere con le mani questi residui ed ingerirli. Il fatto che il “fumo di terza mano” sia dannoso per la salute dei bambini è dimostrato dal fatto che i figli di fumatori sono più esposti a malattie anche quando i genitori non fumano in loro presenza. Inoltre, la persona che fuma ha un’irritazione cronica alle vie respiratorie, a causa di germi patogeni che vivono nelle sue vie aree e si diffondono attraverso il respiro, e in questo modo può contagiare il bambino con infezioni respiratorie.
Sono stati riportati esiti avversi della gravidanza associati all’uso della sigaretta elettronica, ma i dati sono limitati. È certo tuttavia che il suo utilizzo espone la donna e il feto a nicotina ed altre sostanze potenzialmente dannose e non associate ad alcun beneficio per la salute, pertanto andrebbe evitato. Un altro aspetto riguarda il rischio di ingestione accidentale del liquido per sigaretta elettronica contenente nicotina, con possibile avvelenamento nei bambini.
La scelta di avere un figlio e/o l’attesa di questo bambino prima e durante la gravidanza rappresentano un’ottima occasione e forniscono una forte motivazione per smettere di fumare. Chiedere aiuto è importante durante questo periodo, non solo per smettere, ma anche per portare avanti nel tempo questa scelta. Gli operatori sanitari possono sostenere la coppia ed eventualmente indirizzarla ad un centro antifumo. È possibile anche contattare il Telefono Verde contro il Fumo (TVF) 800 554 088 dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’ISS. A questo link inoltre è possibile consultare l’elenco dei servizi territoriali per la cessazione dal fumo di tabacco 2018.
 

Metterlo a dormire a pancia in su

Prendersi cura del proprio bambino vuol dire prendersi cura di lui anche quando è l'ora della nanna. Per questo è importante metterlo a dormire a pancia in su, per proteggerlo da una delle sindromi più drammatiche, la SIDS, comunemente conosciuta come la "morte in culla".
 
È fondamentale che chiunque si occupi del bambino, anche saltuariamente (es. nonni) sia informato sulle condizioni di sonno sicuro: mettere il bambino a dormire a pancia in su fin dai primi giorni di vita, anche per sonnellini brevi. È possibile che il bambino preferisca dormire a pancia in giù o di fianco e che quindi i genitori, magari molto stanchi, scelgano queste posizioni; tuttavia, se la comodità del bambino è importante, la sicurezza lo è di più.
In merito alla posizione di fianco sono cambiate le evidenze rispetto a 20 anni fa, quando si consigliavano indifferentemente sia la posizione laterale sia quella supina. Ampie ricerche dimostrano che il rischio di morire per SIDS è maggiore nei bambini che vengono messi a dormire in posizione prona rispetto a quelli messi in posizione supina, ma anche nei bambini messi a dormire sul fianco rispetto a quelli messi in posizione supina. Esiste poi il rischio che il bambino possa passare dalla posizione sul fianco a quella prona.
I genitori possono essere preoccupati pensando che la posizione supina porti ad una maggiore probabilità di inalazione del latte in caso di rigurgito o reflusso gastroesofageo. Tuttavia, da quando si è iniziato a raccomandare la posizione supina non sono aumentati i casi di aspirazione del latte nelle vie respiratorie. Al contrario, in posizione prona l’esofago si trova al di sopra della trachea, e ciò aumenta il rischio di passaggio di materiale alimentare.
In passato è stato segnalato un rischio maggiore di “plagiocefalia” (deformazione del cranio) in caso di posizione supina, ma solo da studi non controllati: le evidenze attuali non supportano questa tesi. In ogni caso è possibile ovviare al problema alternando la posizione della testa del bambino quando lo si pone a letto ed utilizzando posizioni prone durante le ore di veglia.
Girarsi è una tappa importante e naturale della crescita del bambino. Molti bambini iniziano a girarsi da soli tra il quarto e il sesto mese di vita. Se il bambino si gira da solo nel sonno, non è necessario riposizionarlo a pancia in su. La cosa importante è che il bambino inizi ogni sonno sulla schiena per ridurre il rischio di SIDS.
Alcuni fattori dell’ambiente in cui il bambino dorme proteggono ulteriormente dal rischio di SIDS o di altre cause di morte del neonato legate al sonno.

 

La posizione più sicura per il sonno del bambino è nella stanza dei genitori, vicino al loro letto, ma su una superficie separata (culla o lettino).

La temperatura dell’ambiente dove dorme il bambino non dovrebbe mai essere eccessivamente calda (andrebbe mantenuta tra i 18 e i 20 °C); da evitare anche troppi vestiti e di coperte.

Il materasso dovrebbe essere della misura esatta della culla/lettino e sufficientemente rigido, ed andrebbe evitato l’uso del cuscino: porre il bambino su superfici eccessivamente morbide (anche trapunte) aumenta il rischio di SIDS. Egli dovrebbe essere sistemato con i piedi che toccano il fondo della culla o del lettino, in modo che non possa scivolare sotto le coperte, che dovrebbero essere ben rimboccate sotto il materasso (il “sacconanna” può rappresentare una valida alternativa).

Inoltre, sulla superficie dove il bambino dorme, non dovrebbero esserci oggetti (es. cuscini, trapunte, piumini, paracolpi, giocattoli di peluche, cordine, piccoli giochi) che possono soffocare, intrappolare, strangolare, ferire il bambino.

Anche l’associazione tra fumo di sigaretta e SIDS è ampiamente provata: esso è il fattore di rischio più importante dopo la posizione non supina. Questa è un’ulteriore ragione per non fumare ed evitare il fumo passivo fin da prima del concepimento, e per non esporre il bambino al fumo passivo né tenerlo in ambienti dove si fuma.
La condivisione del letto dei genitori (bed sharing) non è la scelta più sicura (può portare ad un piccolo aumento di SIDS nei primi tre mesi), sconsigliata se i genitori sono fumatori, hanno fatto uso di alcol, farmaci, sostanze psicoattive o per altre ragioni non sono in buone condizioni di vigilanza (es. stanchezza), nelle prime settimane di vita del bambino o se questo è nato pretermine o piccolo per l’età gestazionale. Tuttavia può risultare una soluzione che facilita l’allattamento. Ci sono alcune alternative al bed sharing, come tenere il bambino sul proprio letto solo mentre lo si allatta, spostandolo poi nella culla; se si sceglie comunque il bed sharing, si raccomanda di evitare la presenza di altri fratelli nel letto e di evitare di dormire con il bambino su divani e poltrone.
Queste superfici possono essere dei luoghi molto pericolosi per i bambini specialmente quando gli adulti si addormentano con loro, sia per il rischio di caduta o intrappolamento (es. tra le sponde o i cuscini), sia perché questo tipo di bed sharing, per lo più involontario, riflette solitamente una condizione di particolare stanchezza dell’adulto. Questo può capitare ad esempio alla mamma mentre allatta. Per questo, se si sente molto stanca e c’è la possibilità che si addormenti allattamento, è bene preferire il letto al divano, rimuovendo da esso tutti gli oggetti soffici ed assicurandosi che il bambino non possa cadere.
L’allattamento, sia parziale che esclusivo, si associa a una riduzione del rischio di SIDS, con una protezione più forte nel caso dell’allattamento esclusivo. Questo perché da una parte, i bambini allattati hanno un numero ridotto di infezioni respiratorie e gastroenteriche, che si associano a una maggiore vulnerabilità del bambino nei confronti della SIDS. Dall’altra parte, i bambini allattati hanno un pattern di sonno caratterizzato da una maggiore risvegliabilità (arousal), caratteristica protettiva rispetto alla SIDS.
È provato da studi epidemiologici che il rischio di SIDS si riduce quando si offre il succhiotto al neonato. È importante che il succhiotto (ciuccio) venga introdotto solo ad allattamento avviato, per non interferire con esso (e sospeso possibilmente entro l’anno, per evitare che disturbi il buon sviluppo dei denti).

 

Va sottolineato che esso va usato osservando le seguenti precauzioni: tenerlo sempre ben pulito ed evitare di immergerlo in sostanze edulcoranti; se il bambino lo rifiuta non forzarlo e non reintrodurlo in bocca se dormendo lo perde; non usare catenelle o nastri per tenerlo durante il sonno.

La probabilità che la SIDS accada in prossimità di una vaccinazione è alta, poiché la maggior parte dei vaccini vengono somministrati fra il secondo e il dodicesimo mese di vita, periodo in cui la sindrome stessa si presenta. Tuttavia, non esiste alcuna associazione causa-effetto fra vaccini e SIDS, nemmeno per la vaccinazione difterite-tetano-pertosse, che negli anni è stata maggiormente sospettata. Anzi, un ampio studio condotto in Germania evidenzia un maggior rischio di SIDS nei bambini non sottoposti a vaccinazione o sottoposti ad essa tardivamente, risultato confermato successivamente.
Purtroppo la SIDS non è prevedibile attraverso test di screening.

 

Diversi anni fa, uno studio italiano aveva suggerito la possibilità di individuare i bambini con un rischio più elevato di morte improvvisa grazie all’esecuzione di un elettrocardiogramma (test per l’individuazione di un QT lungo). Si è deciso quindi di effettuare un’ampia raccolta di elettrocardiogrammi neonatali in numerosi centri italiani, per valutare la necessità di inserirlo come screening routinario, ma la risposta data dalle prove di efficacia fu negativa. Quello che emerse fu infatti che il 50% dei bambini deceduti per SIDS non era stato riconosciuto dal test; in caso di test positivo, invece, solo un bambino su 70 risultava effettivamente a rischio di SIDS, configurando gli altri come falsi positivi.

Un ulteriore problema è il tipo di trattamento da attuare nei bambini con test positivo: non esistono infatti a tutt’oggi prove dell’efficacia e della sicurezza dei trattamenti farmacologici proposti per la prevenzione della SIDS.

Alcuni bambini sono maggiormente a rischio di SIDS: fratelli e sorelle di bambini deceduti per la stessa sindrome, ed alcuni bambini nati molto prematuri.


Inoltre, sono più a rischio bambini che hanno presentato episodi apparentemente rischiosi per la vita, detti ALTE (Apparent Life-Threatening Events). Si tratta di episodi caratterizzati da un cambiamento importante del colorito, che diventa pallido o bluastro, da flaccidità o irrigidimento dei muscoli e da arresto del respiro, che richiedono talvolta manovre rianimatorie, come la respirazione bocca a bocca o il massaggio cardiaco. Per questi bambini sono necessari controlli clinici in strutture specialistiche.

Il picco di incidenza della SIDS è fra i 2 e 4 mesi di età, soprattutto nel periodo invernale; la SIDS è rara dopo i 6 mesi e ancor di più nel primo mese. Circa il 60% di bambini morti per SIDS erano maschi.

La diagnosi di SIDS è una diagnosi “di esclusione”, in quanto a causare il decesso di un lattante possono contribuire malattie note, cause accidentali (es. soffocamento, asfissia, strangolamento) e patologie ancora non ben definibili. Con l’acronimo SUID, dall’inglese “Sudden Unexpected Infant Death”, si indicano tutte le morti improvvise ed inattese nel primo anno di vita, compresa la SIDS. I casi di SUID che restano privi di spiegazione, poiché anche dopo un’accurata indagine vengono escluse tutte le suddette condizioni, possono essere classificati come SIDS, “Sudden Infant Death Syndrome” (sindrome della morte improvvisa del lattante). La SIDS è responsabile di circa l’80% dei casi di SUID. Il restante 20% dei casi viene riferito ad una causa certa.
 

Leggere un libro insieme a lui

Tra le tante occasioni in cui passate del tempo con il proprio bambino quella di leggere un libro insieme a lui risulta particolarmente ricca e piacevole.
Leggere al bambino rende più intensi i rapporti affettivi tra il genitore che legge o racconta ed il bambino che ascolta; favorisce lo sviluppo del linguaggio, arricchisce la memoria e stimola la fantasia. In sintesi, accresce le capacità dei genitori ed è per lui un forte stimolo cognitivo.
 
 
Diversi studi hanno approfondito gli effetti positivi della lettura in famiglia, realizzata spesso (quasi tutti i giorni della settimana) e precocemente (a partire già dai sei mesi di vita), evidenziando che essa calma, rassicura e consola.

 

Inoltre, rafforza il legame affettivo tra il genitore che legge e il bambino che ascolta: il bambino piccolo ha bisogno di affetto e tenerezza come di conoscenza, e l’intimità che si crea condividendo la lettura di un libro rappresenta un terreno ideale per promuovere le sue capacità di comprendere meglio il mondo che sta dentro e fuori di lui.

La lettura favorisce anche lo sviluppo cognitivo del bambino; alimenta nei bambini il desiderio di imparare a leggere e l’amore per i libri, le parole, le storie; favorisce lo sviluppo del linguaggio verbale. Dal momento che porta il bambino piccolo a confrontarsi con le parole scritte, favorisce la capacità di comprendere la lettura di un testo e l’apprendimento della lettura una volta a scuola.

È importante specificare che tablet e smartphone non sostituiscono l’esperienza della lettura.

 

Società scientifiche hanno raccomandato di non utilizzare dispositivi multimediali con i bambini sotto i 2 anni di età, durante i pasti, nell’ora prima di coricarsi; meglio evitare anche di offrirli in luoghi pubblici al solo scopo di tenere il bambino tranquillo. Si consiglia inoltre di evitare programmi ad alto ritmo ed app con contenuti distraenti o violenti, preferendo invece la programmazione di alta qualità ed adatta all’età, da condividere con un adulto di riferimento. In questo modo si promuovono l’apprendimento e le interazioni. Si suggerisce inoltre di limitare l’esposizione ai media device a meno di 1 ora al giorno nei bambini di età compresa tra 2 e 5 anni e di confrontarsi con il pediatra o un altro operatore rispetto a qualsiasi dubbio. Infine, va ricordato che i bambini sono grandi imitatori, perciò i genitori dovrebbero limitare essi stessi l’uso dei dispositivi per dare il buon esempio.

Ancora più recentemente (2019) l’associazione Royal College of Pediatrics and Child Health (RCPCH) ha sottolineato come gli studi relativi all’impatto delle nuove tecnologie sul benessere dei bambini siano in realtà ancora limitati, invitando ogni famiglia a trovare un suo consapevole limite. Secondo i pediatri britannici la domanda che deve guidare ogni genitore è “il tempo dedicato alla multimedialità è primario o secondario rispetto alle altre attività?”. Se stare davanti agli schermi toglie tempo alle amicizie, allo sport, al sonno, allora è necessario porre limiti più stringenti. Ad RCPHC fanno eco altri professionisti nell’evidenziare i limiti della ricerca attuale, sottolineando inoltre l’importanza di bilanciare tra la necessità di regole e l’importanza di non limitare le possibilità dei bambini di seguire i loro interessi.

Diverse visioni si uniscono tuttavia nel condividere la necessità di accompagnare le nuove generazioni in un mondo sempre più digitale e sul ruolo fondamentale dei genitori in questo percorso, che deve essere il più positivo e sicuro possibile.

Se per un bambino la lingua materna e quella del Paese che ospita non coincidono, esporlo ad entrambe rafforza il suo senso di identità ed aumenta la sua autostima. È importante che l’esposizione del bambino ad una certa lingua avvenga da parte di qualcuno che ne ha padronanza. Un genitore straniero può iniziare il rapporto di lettura con il proprio bambino nella propria lingua madre, che è quella con la quale riesce a trasferire maggiormente le sfumature emotive e linguistiche.
Il tempo dedicato alla lettura può essere anche poco, ma dovrebbe essere costante. È importante utilizzare dei tempi dedicati, esclusivi (es. prima del sonnellino o della nanna, dopo i pasti), preoccupandosi di evitare possibili distrazioni e disturbi, come telefono e televisione, ma anche approfittare di momenti di attesa (es.durante un viaggio, dal medico). La lettura può essere inoltre un conforto al bambino, per esempio se si ammala.

 

La cosa migliore è scegliere i momenti in cui il bimbo è più attivo, recettivo, motivato, ma anche quelli in cui i genitori sono più disponibili e tranquilli: deve essere un piacere reciproco. È bene accogliere la richiesta di lettura del bambino, ma anche rispettare le sue esigenze se sceglie altre attività e non insistere se si agita o è inquieto.

Per condividere il piacere della lettura con il bambino non è necessario essere lettori esperti, è sufficiente farsi guidare da lui e seguire alcuni semplici accorgimenti.

 

Per prima cosa, scegliere un luogo confortevole dove sedersi. Si può iniziare con il recitare o cantare filastrocche. Si consiglia di tenere in mano il libro in modo che il bambino possa vedere le pagine chiaramente e fargli indicare le figure, ripetendo le parole di uso comune. È bene leggere con partecipazione, creare le voci dei personaggi, riprodurre i suoni, usare gli sguardi e la mimica; variare il ritmo di lettura (più lento o più veloce); fargli domande (es. cosa pensi che succederà adesso?). Più avanti, il momento della lettura potrà essere un momento per parlare e rispondere alle sue domande.

Il bambino può scegliere il libro da leggere, ed andrebbe assecondato anche se chiede di rileggere sempre gli stessi. Sarà inoltre utile mettere a disposizione del bambino quanti più libri possibile. È una buona idea lasciare nella sua cameretta o nella libreria un ripiano raggiungibile per i suoi libri e prendere l’abitudine di frequentare insieme la biblioteca.

I libri devono essere adatti all’età del bambino.

 

È bene ricordare che il bambino ama sentire la voce dei genitori anche nel periodo prenatale. Filastrocche, ninne-nanne e canzoni possono essere proposte fin da allora. In generale, l’utilizzo del racconto o della filastrocca può essere utile anche più avanti, anche per facilitare lo sviluppo di attività più interattive di ascolto.

I primi libri proposti dai 6 mesi di vita devono essere cartonati, resistenti, atossici, con pagine grosse, colori vivaci ed immagini semplici e chiare, una per pagina, raffiguranti oggetti familiari o bambini.

A 12 mesi il bambino tiene il libro in mano se aiutato e gira le pagine. Le figure preferite riguardano ora azioni familiari (es. mangiare, dormire, giocare) e piccoli animali.

Dopo l’anno di vita è bene proporre ancora libri con immagini singole, con colori forti e poche parole ad indicare le figure; solitamente piacciono i libri che parlano di animali, di bambini, delle cose di ogni giorno, con frasi brevi e semplici.

A 24 mesi il bambino può iniziare a fingere di leggere lui, inventando; gli piace identificarsi con i personaggi, sono adatte le protostorie con un breve commento alle figure.

A 30 mesi ama le storie di bambini della sua età, di momenti di vita comune, di amicizia, di fratelli o sorelle, ma apprezza anche libri fantastici, avventurosi e fiabe tradizionali.

Vi sono studi crescenti che dimostrano l’impatto benefico della musica sulla crescita e salute dei bambini. Inoltre, condividere l’esperienza musicale rafforza i legami affettivi e la relazione genitore-figlio.

 

Fin dal terzo trimestre di gravidanza, quando il bambino inizia a percepire suoni e rumori, la mamma può iniziare a cantare e ad ascoltare musica per lui: le melodie hanno un effetto sullo sviluppo del cervello del bambino già durante la gestazione, ed egli, una volta nato, risconoscerà quelle ascoltate più spesso. I neonati sono predisposti a percepire aspetti anche sottili degli stimoli musicali, e pare che i primi passi del linguaggio siano basati sulla percezione della melodia della lingua. Uno dei primi messaggi che riceve il neonato, al tempo stesso gestuale e verbale, ma ancor prima timbrico, ritmato e melodico, è la ninna nanna, in tutti i popoli.

Il Progetto Nati Per la Musica si propone di sostenere attività che mirino ad accostare precocemente il bambino al mondo dei suoni.

Dal Pediatra o presso la biblioteca è possibile trovare consigli per scegliere il libro più adatto. Anche le librerie rappresentano un luogo in cui le famiglie possono entrare in contatto con l'editoria per l'infanzia e i benefici che la lettura ha sullo sviluppo dei bambini e sul benessere familiare. Un operatore del settore opportunamente informato sui benefici della lettura in famiglia può essere un ponte con le famiglie che arricchisce e consolida il circuito virtuoso creato sul territorio.


Allatta il tuo bambino

L'allattamento è il modo naturale di alimentare il neonato ed offre vantaggi per sua la salute e quella della madre e di tutta la società. Fornisce al bambino tutti i nutrimenti di cui ha bisogno per i primi sei mesi di vita ed è importante anche successivamente.

L’allattamento è il modo fisiologico di fornire al bambino i nutrienti di cui ha bisogno per un sano sviluppo.

L’allattamento ha benefici per il bambino: previene patologie sia infantili che dell’età adulta, acute e croniche (es. diabete, obesità). Porta a: riduzione della mortalità postnatale e del rischio di morte in culla (SIDS); minor numero di infezioni, in particolare del tratto respiratorio, e di malattie allergiche; miglior risposta alle vaccinazioni. Soprattutto per quanto riguarda i nati pretermine, il latte materno è un ottimo contributo alle difese immature del bambino.

L’allattamento promuove inoltre lo sviluppo psicomotorio e cognitivo e favorisce il consolidamento della relazione tra madre e bambino.

L’allattamento offre anche benefici per la madre, tra cui: migliore e più rapido recupero dopo il parto; favorita perdita del peso accumulato in gravidanza; minore rischio di emorragie; riduzione del rischio di alcune patologie come tumore al seno, all’utero e alle ovaie, diabete mellito tipo 2 e malattie cardiovascolari.

Allattare ha inoltre vantaggi economici e pratici per le famiglie (perché è sempre pronto, alla giusta temperatura e varia adattandosi per rispondere ai bisogni del bambino), per il sistema sanitario e per l’ambiente in termini di rifiuti e di risparmio energetico che la produzione di latte artificiale comporta.

Le posizioni per allattare sono le più diverse e vale la regola che “se funziona non si tocca”: la mamma può scegliere quella in cui si sente più a suo agio, cambiandola se necessario durante la poppata.

Una posizione di grande aiuto quando il bambino sta imparando a poppare è la posizione semi-reclinata: la mamma né completamente sdraiata né completamente seduta, con la schiena sostenuta e rilassata, e il bambino adagiato sopra l’addome e il torace di lei, a pancia in giù, appoggiato sulla guancia, con le vie aeree libere. Questa posizione ha il vantaggio di lasciare libere le braccia e le mani della madre, che lei può utilizzare per sostenere la schiena e il sederino del bambino.

Per allattare il bambino sedute, tenendolo in braccio, va messo in modo che si appoggi sull’avambraccio dello stesso lato del seno da cui sta poppando, in modo che sia “pancia a pancia” con la mamma. Sempre stando seduta, la mamma può utilizzare anche la posizione incrociata: il bambino è tenuto con il braccio opposto rispetto al seno utilizzato e la mano della mamma gli sorregge la nuca. Uno o più cuscini possono aiutare a portare il bambino all’altezza del seno, soprattutto nei primi tempi. Nella posizione a rugby la madre è seduta e, come suggerisce il nome, il bambino è sotto il suo braccio, appoggiato al fianco di lei, che gli sostiene il capo con la mano mentre i piedini puntano all’indietro.

Alcune madri trovano molto comoda la posizione sdraiata. Madre e bambino giacciono sul fianco, l’una di fronte all’altro.

Ci sono altre posizioni che le mamme possono trovare spontaneamente o con il consiglio di altre mamme ed esperti.

La condivisione del letto dei genitori (bed sharing) non è la scelta più sicura (può portare ad un piccolo aumento di SIDS nei primi tre mesi), sconsigliata se i genitori sono fumatori, hanno fatto uso di alcol, farmaci, sostanze psicoattive o per altre ragioni non sono in buone condizioni di vigilanza (es. stanchezza), nelle prime settimane di vita del bambino o se questo è nato pretermine o piccolo per l’età gestazionale. Tuttavia può risultare una soluzione che facilita l’allattamento. Ci sono alcune alternative al bed sharing, come tenere il bambino sul proprio letto solo mentre lo si allatta, spostandolo poi nella culla; se si sceglie comunque il bed sharing, si raccomanda di evitare la presenza di altri fratelli nel letto e di dormire con il bambino su divani e poltrone.
Qualsiasi posizione si scelga per allattare, se si prova dolore o il bambino non succhia efficacemente, si può verificare se l'attacco è efficace.

 

Tenendo il bambino con il volto di fronte al seno, la mamma dovrebbe verificare che orecchio, spalla e fianco siano allineati e che naso e labbro superiore siano di fronte al capezzolo, permettendo al bambino di raggiungerlo facilmente senza bisogno di allungarsi o girarsi. A questo punto, quando il neonato spalanca la bocca (per incoraggiarlo si possono sfiorare le sue labbra col capezzolo), avvicinarlo al seno (e non il contrario). Il suo labbro inferiore dovrebbe toccare il seno, il più lontano possibile dalla base del capezzolo, il quale punterà verso il suo palato.

Quando il bambino è attaccato correttamente, il mento è a contatto con il seno e la lingua è appoggiata a quest’ultimo, il labbro inferiore rovesciato in fuori. Inoltre l’areola, la parte scura intorno al capezzolo, è meglio visibile sopra il labbro superiore piuttosto che sotto quello inferiore. La bocca è ben aperta e “riempita” dal seno, le guance piene e tonde durante la poppata, il cui ritmo, essendo dettato dal variare della composizione del latte (più liquido e dissetante a inizio poppata, più denso e nutritivo verso la fine), dovrebbe andare da suzioni brevi a movimenti lunghi e profondi, intervallati da pause.

Le prime volte che il piccolo si attacca al seno è possibile che la mamma senta qualche fastidio, che tenderà a scomparire rapidamente con il tempo; in caso contrario, probabilmente il bambino non è ben attaccato. Si può quindi provare a staccarlo, inserendo delicatamente un dito nell’angolo della bocca, così da interrompere la suzione e da aiutarlo successivamente a riattaccarsi. Se si avverte ancora male, può essere necessario il consiglio di un operatore esperto.

Spesso le neomamme possono essere preoccupate del fatto che le dimensioni o la forma di seno e capezzoli rendano difficoltoso l’allattamento. La dimensione del seno non ha nulla a che vedere con la produzione di latte, e i bambini riescono a succhiare pressoché da tutte le forme e dimensioni di seno e capezzoli.
Ciascun bambino è diverso e poppa in modo diverso. Anche lo stesso bambino può cambiare tempi, modi e frequenza delle poppate a seconda dei suoi bisogni. La mamma può seguire i suoi ritmi e segnali di fame, in quanto egli si autoregola, prendendo ciò di cui ha bisogno a ciascuna poppata e da ciascun seno. La regolazione della quantità di latte prodotto avviene per successive messe a punto, e più il bambino poppa, più stimola la produzione di latte. Se per un periodo vuole succhiare più frequentemente, significa quindi che sta stimolando la produzione di latte necessaria e sufficiente a soddisfare suoi bisogni, che cambiano nel tempo.

 

Poppate frequenti (dalle 8 alle 12 volte nelle 24 ore, o anche di più nei primi tempi) sono comunque sempre normali, a causa delle piccole dimensioni dello stomaco dei neonati e della velocità di digestione del latte materno. Inoltre, molti problemi legati all’allattamento si risolvono proprio aumentando la frequenza delle poppate. Queste ultime tendono a diradarsi gradualmente mano a mano che il bambino cresce. Quando la produzione di latte è ben stabilizzata (circa a un mese-mese e mezzo di vita) anche le perdite di latte o la sensazione di pienezza dei seni solitamente diminuiscono o cessano.

Ogni bambino è diverso e la sua crescita va valutata caso per caso e, soprattutto, globalmente e non per ogni singola poppata (per questo è inutile e fuorviante pesarlo prima e dopo).

 

Per valutare l’andamento dell’allattamento e la crescita del neonato è bene verificare che egli sia pronto e sveglio per i pasti e soddisfatto al termine della poppata. Dovrebbe poppare dalle 8 alle 12 volte nelle 24 ore, ed anche di più nei primi tempi. Se sembra disinteressato, non si sveglia almeno 8 volte nelle 24 ore o si addormenta poco dopo che è al seno, è bene svegliarlo per allattarlo. In caso di eccessiva sonnolenza, potrebbe essere necessaria una visita pediatrica.

Inoltre, dopo la perdita di peso che il neonato generalmente presenta nei primi giorni di vita (calo fisiologico), dovrebbe recuperare il peso che aveva alla nascita in 10-15 giorni.

Se i seni o i capezzoli sono dolenti meglio chiedere aiuto per valutare se l’attacco del bambino al seno è adeguato.

Va valutato anche il numero di pannolini bagnati e scariche. Di solito, nei primissimi giorni, quando assume solo colostro, il neonato bagna uno o due pannolini al giorno. Dopo circa 3-5 giorni dalla nascita bagna 6 o più pannolini al giorno con urine chiare e diluite. Le feci, scure nei primissimi giorni, assumono un colore giallastro e diventano morbide nelle settimane successive. Dopo i primi giorni il bambino scarica generalmente 1-3 volte al giorno, mentre oltre la sesta settimana può ridurre il numero delle scariche giornaliere e non scaricarsi anche per un paio di giorni. Non c’è motivo di preoccuparsi: se il bambino continua a crescere di peso e a bagnare i pannolini significa che sta mangiando a sufficienza.

Allattamento a richiesta non significa alimentare i bambini quando piangono, significa alimentarli quando desiderano essere nutriti, per il tempo che lo richiedono. I neonati, infatti, quando sono pronti a mangiare mostrano segnali di fame, che possono essere suddivisi in precoci, intermedi e tardivi.

 

I segnali precoci sono: muoversi, aprire la bocca, girare il capo da un lato all’altro cercando il seno. Gli intermedi sono: allungare le braccia per stiracchiarsi, aumentare l’allerta e l’attività, portare le mani alla bocca. Altri segnali sono: sbadigliare, aprire gli occhi, protrudere la lingua dalla bocca, compiere rapidi movimenti degli occhi, emettere suoni di suzione o singhiozzi sommessi. Con questi segnali il bambino sta dicendo che è già pronto per succhiare. Attendere pianto, agitazione ed irritabilità significa attendere segnali tardivi, che ostacolano l’attacco al seno e che quindi vanno calmati prima della poppata.

Introdurre gradualmente cibi solidi intorno ai sei mesi è un’indicazione dettata dal fatto che da quel momento, pur con variazioni individuali, il latte materno non è generalmente sufficiente a soddisfare tutte le esigenze nutrizionali del bambino, il quale sviluppa quindi dei segnali che indicano che è “pronto” a passare ad una nuova dieta.

 

Tali segnali sono: la capacità di stare seduto da solo, tenere la testa dritta, raccogliere il cibo con le mani, portarlo alla bocca e deglutire; la perdita del riflesso di spingere la lingua in fuori o di sputare il cibo; l’interesse nel guardare l’adulto mentre mangia.

Quando il bambino inizia ad interessarsi a nuovi alimenti, troverà gradulamente in essi la sua principale fonte di nutrimento, continuando comunque a ricevere i benefici dell’allattamento quando esso continua. All’inizio non ha bisogno di grandi quantità di cibo, ma di abituarsi ad un’alimentazione corretta e a sapori e consistenze diverse. Per questo è necessario dare il buon esempio, offrendogli un’ampia varietà di alimenti sani e freschi, condivisi con tutta la famiglia, facendosi guidare all’occorrenza anche dai gusti e desideri del bambino. Il migliore cibo per lui è fatto in casa, preparato con alimenti freschi e semplici, di sicura provenienza, meglio se da agricoltura biologica certificata.

Iniziare l’introduzione di cibi solidi troppo presto non è consigliabile: dare altri liquidi ed alimenti può far diminuire la produzione di latte materno, ed essi potrebbero non avere la densità di nutrienti ed energia necessaria alle esigenze del lattante, o potrebbero essere da lui non digeribili (es. il latte vaccino non va introdotto prima di un anno di vita, anche per evitare il rapporto sfavorevole tra quantità ingerita e calorie introdotte).

Va evitato anche di ritardare troppo a lungo l’introduzione di altri alimenti oltre al latte materno: esso da solo potrebbe non fornire abbastanza energia e nutrienti, con conseguente rallentamento della crescita e denutrizione, e non soddisfare le crescenti esigenze di alcuni micronutrienti, soprattutto ferro e zinco. Potrebbero esservi effetti avversi sullo sviluppo ottimale delle capacità motorie della bocca, come la capacità di masticare, e sulla facilità ad accettare nuovi sapori e cibi di diversa consistenza.

L’integrazione con il latte formulato va data solo su indicazione del pediatra, preferibilmente dopo la poppata ed utilizzando un ausilio alternativo al biberon (es. bicchierino, cucchiaino), evitando tettarelle artificiali. Esse infatti, così come ciucci e paracapezzoli, possono associarsi ad una riduzione del successo dell’allattamento. Il ciuccio in particolare non andrebbe utilizzato nel primo mese, se non in presenza di specifiche condizioni mediche (es. sollievo dal dolore). Dopo che l’allattamento è ben avviato, va utilizzato durante il riposo per il dimostrato effetto protettivo nei confronti della SIDS.

Per utilizzare il latte in polvere è inoltre fondamentale seguire alcuni passaggi al fine di ridurre il rischio di contaminazione da batteri (es. Cronobacter sakazakii), che possono essere presenti nelle confezioni, benché sigillate.

1. Pulire la superficie di lavoro, lavarsi le mani con acqua e sapone e asciugarle;

2. se si utilizza uno sterilizzatore a freddo, sgocciolare la soluzione in eccesso dal biberon e dalla tettarella, risciacquandoli eventualmente con acqua bollita e raffreddata, e mettere tettarella e cappuccio sul coperchio rivoltato dello sterilizzatore (evitando di poggiarli direttamente sulla superficie di lavoro);

3. versare l’acqua (del rubinetto o di bottiglia) in un contenitore ben pulito per farla bollire e lasciarla poi raffreddare fino ad una temperatura superiore ai 70°C;

4. versare l’acqua nel biberon ed aggiungere l’esatta quantità di polvere indicata nella confezione, rispettando le dosi. Non aggiungere mai zucchero, cereali, biscotti o altro;

5. chiudere il biberon tenendo la tettarella per il bordo ed agitare bene il contenuto;

6. raffreddare il latte, fino ai 37°C mettendo il biberon sotto l’acqua corrente (evitando che l’acqua tocchi la tettarella) e provando sul polso la temperatura, che deve essere tiepida;

7. riscaldare il latte eventualmente già preparato e mantenuto refrigerato a bagnomaria (non più di 15 minuti), agitandolo per rendere uniforme la temperatura, consumandolo poi entro 2 ore. Non utilizzare il microonde.

Il latte in polvere va preparato sempre al momento dell’utilizzo (un pasto alla volta); fuori casa, l’acqua bollente va trasportata in thermos ben chiuso, mischiandola al momento con la polvere. Dopo l’uso gli strumenti utilizzati vanno puliti con cura.

I capezzoli doloranti sono uno dei problemi più comuni delle neo-mamme. Nei primi giorni di allattamento è normale che la pelle sia irritata, ma se il dolore diventa più intenso o dura parecchi giorni, la prima cosa da controllare è la posizione del bambino quando poppa: se succhia in modo scorretto, potrebbe provocare indolenzimento, screpolature o ragadi.

 

Il capezzolo deve essere ben centrato nella bocca perché il bambino afferri quanto più possibile capezzolo e areola.

Per la normale igiene del seno, è sufficiente acqua semplice.

Se il dolore persiste e si sospetta la presenza di altri problemi è necessario contattare degli operatori esperti.

L’ingorgo è causato da un inadeguato svuotamento del seno o da una scarsa frequenza delle poppate. Alcuni sintomi tipici sono: dolore e arrossamento del seno, sensazione di seno pieno, pesante e teso, diminuito flusso di latte, difficoltà ad attaccarsi da parte del bambino, a volte febbre.

 

In questo caso è necessario che il bimbo si attacchi frequentemente ed in modo corretto al seno. Se necessario, l’estrazione del latte può essere fatta anche manualmente. Per favorire il drenaggio possono essere utili massaggi al seno, impacchi e docce caldi. È utile, prima della poppata, applicare una compressa di acqua tiepida sull’areola e spremere dolcemente il latte per ammorbidire la zona. Dopo la poppata, può essere utile fare impacchi freddi per favorire la riduzione dell’edema.

La mastite è spesso la conseguenza di stasi di latte non drenato. Causa seno dolente con zone calde ed indurite, febbre, spesso sintomi influenzali (brividi di freddo, dolori articolari).

 

In caso di mastite è necessario allattare il più frequentemente possibile per eliminare la stasi, riposare, seguire l’eventuale terapia antibiotica prescritta dal medico (la maggior parte degli antibiotici è compatibile con l’allattamento).

Un attacco scorretto e troppo superficiale può provocare dolore, screpolature, ragadi. Queste ultime, in particolare, sono ferite dolorose e a volte sanguinanti del capezzolo. Possono essere causate anche da una chiusura delle gengive troppo forte, un frenulo corto della lingua del bambino, una forza di suzione troppo potente, una candidosi. Alcune sostanze, come il sapone oppure alcol e glicerina (comunemente contenuti nei cosiddetti "topici" per il seno), possono seccare ed indurire la pelle del capezzolo, facilitando le ragadi.

 

Per prevenirle e curarle, non sono necessarie creme o disinfettanti: il latte o colostro e la pelle dell’areola forniscono le necessarie sostanze emollienti e antibatteriche, e per la per la normale igiene è sufficiente l’acqua. Anche i paracapezzoli (in silicone, caucciù o argento) possono complicare la situazione.

Durante l’allattamento, non è necessario seguire una dieta speciale. Basta che si seguano abitudini alimentari equilibrate, quelle di sempre. Non occorre che si bevano grosse quantità di acqua. Si dovrà bere normalmente, ogni volta che si ha sete. È meglio invece ridurre al massimo il caffè ed evitare gli alcolici.
Prima di tutto è necessario informarsi sui propri diritti (Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n.151 aggiornato 2018); inoltre può aiutare familiarizzare con le modalità di estrazione e di conservazione del latte e ad avere contatti e sostegno, anche da altri genitori.

 

Ovviamente anche il datore di lavoro ha un ruolo cruciale, ad esempio permettendo alle madri lavoratrici che allattano di portare il bambino al lavoro o di usufruire di un orario ridotto. Altre azioni concrete che possono essere messe in atto nei luoghi di lavoro per promuovere l’allattamento, evidenziate da UNICEF e OMS, sono: il congedo di maternità retribuito per un minimo di 18 settimane, il congedo di paternità retribuito, pause ed uno spazio sicuro, privato e igienico per allattare o spremere e conservare il latte, assistenza all'infanzia a prezzi accessibili e vicino al luogo di lavoro.

È stato calcolato che per ogni mese aggiuntivo di congedo di maternità retribuito, si potrebbe ridurre la mortalità infantile del 13%. Inoltre, le politiche a favore della famiglia ed un sostegno sociale inclusivo ed attento alla parità di genere supportano la partecipazione delle donne alla forza lavoro, migliorano la soddisfazione sul lavoro, aumentano la fidelizzazione dei dipendenti dell’azienda, portano ad una diminuzione delle assenze, aumentano il benessere delle famiglie aiutandole a gestire equamente la cura e a bilanciarla con il lavoro.

In alcune situazioni (es. rientro al lavoro) può essere utile conoscere le modalità di estrazione e conservazione del latte per continuare a darlo al neonato. Esistono tiralatte elettrici e manuali (da pulire e sterilizzare a ogni uso), ma la spremitura manuale è la più semplice e pratica, oltre che comoda ed economica. Di seguito i passaggi:

1. lavare mani e seni con acqua tiepida e sapone;

2. palpare dolcemente il seno alla distanza di circa 4 cm dal capezzolo, fino ad identificare una parte di seno con una consistenza diversa e lì porre il pollice e l’indice a C (il pollice sopra e l’indice sotto), sostenendo se necessario il seno con le altre dita;

3. spingere delicatamente pollice e indice all’indietro, poi premere il pollice contro l’indice, comprimendo il seno. In seguito, rilasciare la pressione e ripetere i movimenti più volte fino a che il latte inizia a fluire. Potrebbero volerci alcuni minuti, ma se non esce, avvicinare o allontanare le dita dal capezzolo, o massaggiare il seno;

4. quando la fuoriuscita di latte rallenta, cambiare la posizione della mano e ripetere le stesse manovre su un’altra parte del seno. Quando cessa, passare all’altro seno, allo stesso modo (è possibile alternare più volte i seni, se necessario).

Ad ogni spremitura è necessario raccogliere il latte in un nuovo contenitore di vetro o plastica pesante con coperchio, sterilizzato e a chiusura ermetica, segnando su un’etichetta giorno e ora, per controllare meglio la freschezza del latte.

 

Il latte materno si conserva molto bene: a temperatura ambiente (sotto i 25°C) dura 4 ore. In frigorifero (2-4°C) si può conservare ponendolo nel retro, non nello sportello, e deve essere consumato preferibilmente entro 5 giorni, mai oltre gli 8. Inoltre si può conservare il latte per più tempo nel comparto del ghiaccio (2 settimane) o nel freezer (massimo 6 mesi). In questi ultimi casi va posto poi in frigorifero per lasciarlo scongelare, ed usato entro 24 ore (non è poi possibile ricongelarlo).

Prima di dare il latte al bambino, va riscaldato alla temperatura di circa 37°C, e consumato subito buttando eventuali avanzi. È importante non utilizzare il microonde, in quanto riscalda in modo disomogeneo, con il rischio di scottature.

Per bambini pretermine o patologici ricoverati, la raccolta e conservazione del latte devono essere effettuate con indicazioni più stringenti e dettagliate, fornite generalmente dalla Terapia Intensiva Neonatale.

Quando non è disponibile il latte della mamma, il latte umano donato è l’alternativa più valida. Possono diventare donatrici tutte le mamme in buona salute e con un corretto stile di vita che allattano durante il primo anno, previa esecuzione di un semplice screening. La Onlus di riferimento èl’Associazione Italiana delle Banche del Latte Umano Donato (AIBLUD), che si occupa della raccolta, il controllo, la selezione, il trattamento e la conservazione del latte umano donato, di concerto con i Centri di Neonatologia e di Terapia Intensiva Neonatale. Vedi lebanche del latte presenti in Italia e in Europa.

 

Un bambino allattato viene esposto a qualsiasi malattia contratta dalla madre, anche prima che se ne manifestino i sintomi. Quando la madre sviluppa gli anticorpi per combattere virus o batteri, trasmette quegli stessi anticorpi al bambino attraverso il suo latte, offrendogli così il modo di prevenire e combattere le malattie. Tuttavia, alcune malattie e alcuni trattamenti specifici non sono compatibili con l’allattamento; in questi casi è necessaria una consulenza specialistica.
Le possibilità di ricevere un sostegno per mantenere l’allattamento sono diverse, anche a seconda del luogo dove si risiede. I genitori possono rivolgersi a: operatori sanitari specificamente formati (pediatri, ostetriche, infermiere), ambulatori per l’allattamento, Consultori Familiari, consulenti professionali in allattamento (IBCLC), consulenti in allattamento della Lega per l'Allattamento Materno, figure volontarie di sostegno fra donne (peer support), gruppi di sostegno mamma-a-mamma.


Proteggi il tuo bambino con le vaccinazioni 

Le vaccinazioni sono il gesto più efficace, semplice e sicuro per proteggere il bambino contro malattie che possono essere causa di gravi complicazioni o per le quali non esiste una terapia efficace. I vaccini agiscono stimolando una risposta immunitaria  e creano una difesa duratura ed efficace dall'infezione.
 
Per i vaccini si pretende uno standard, in termini di sicurezza, più elevato rispetto ad altri farmaci, dal momento che vengono somministrati a milioni di soggetti sani (in particolare bambini). Essi sono quindi prodotti con tecnologie che ne permettono un’ottimale purificazione. Inoltre, prima e dopo essere messi in commercio, vengono sottoposti a numerosissimi studi, ricerche e controlli per valutarne efficacia, sicurezza ed impatto sulla popolazione, ed ogni volta che emerge l’ipotesi relativa ad un effetto collaterale rilevante, inizia una verifica attraverso rigorosi studi epidemiologici. Per tutte queste ragioni, i vaccini sono tra i farmaci più sicuri che abbiamo a disposizione, nonché una delle più efficaci e potenti strategie di prevenzione. Il Programma di vaccinazioni promosso dall'OMS, che offre a tutti i bambini del mondo la possibilità di essere vaccinati contro 6 malattie (difterite, poliomielite, tetano, pertosse, morbillo, epatite virale B e, nelle zone interessate da questa malattia, febbre gialla), permette infatti di evitare ogni anno almeno 4 milioni di decessi e 400.000 casi di poliomielite nei bambini sotto i 5 anni.
I vaccini sono costituiti da diversi tipi di sostanze: il principio attivo, cioè agenti infettivi uccisi o attenutati, alcuni loro antigeni o infine sostanze prodotte da alcuni microorganismi, adeguatamente trattate in laboratorio per perdere la tossicità (es. il tossoide tetanico), lasciando integra la capacità di indurre una risposta immunitaria. Generalmente, i vaccini contengono anche acqua sterile o soluzione fisiologica a base salina, oltre a tre tipi di additivi: adiuvanti, stabilizzanti e conservanti.
Nessuno studio ha mai dimostrato che gli additivi alle dosi contenute nei vaccini determinino problemi di tossicità. Questi additivi possono essere gli adiuvanti, gli stabilizzanti e i conservanti. Gli adiuvanti (es. alluminio) potenziano la capacità del vaccino di fornire una risposta immunitaria, ovvero la stimolano e la rendono duratura; gli stabilizzanti (es. gelatina) fanno sì che il vaccino mantenga la sua composizione chimica, anche se cambiano le condizioni ambientali (es. temperatura); i conservanti (es. antibiotici) impediscono la crescita di germi nel preparato. Tra gli additivi maggiormente oggetto di preoccupazioni possiamo ricordare il thiomersal, l’alluminio e la formaldeide.
Il thiomersal è un composto a base di etil-mercurio, la cui sicurezza è stata confermata da ampi studi epidemiologici, ripresi in dichiarazioni dell’OMS. L’etil-mercurio è un composto differente dal metil-mercurio, assunto prevalentemente per via alimentare ed oggetto di controllo da parte delle autorità perché non superi valori tossici negli alimenti. Purtroppo, alla fine degli anni ’90 un’indicazione delle autorità rispetto al metil-mercurio ha generato equivoci e conseguenti allarmi, che hanno portato le case farmaceutiche ad eliminare il thiomersal dai vaccini pediatrici. Il caso del thiomersal è un esempio di informazione errata e allarmistica, che ha inciso su scelte di salute pubblica.
I sali di alluminio sono adiuvanti, presenti in quasi tutti i vaccini (eccetto l’antipolio, l’anti emofilo e l’anti morbillo-parotite-rosolia) per potenziarne l’efficacia, stimolando e rendendo duratura la risposta immunitaria. Il contenuto di alluminio nei vaccini varia, a seconda del prodotto, da 0,25 a 2,5 mg. L’OMS (1997) ha affermato che nella popolazione generale non esiste alcun rischio sanitario in relazione all’assunzione di alluminio con i farmaci e con l’alimentazione (ogni giorno ingeriamo con il cibo 5-20 mg di alluminio, che è contenuto soprattutto nei vegetali).
La formaldeide è utilizzata come agente inattivante o conservante ed è contenuta, in minime quantità (<1 mg), in alcuni vaccini inattivati. È stata accusata di essere poco sicura e di causare mutazioni genetiche. Tuttavia, ogni giorno tutti noi respiriamo ed ingeriamo con i cibi una certa dose di formaldeide, ed addirittura il nostro organismo ne produce naturalmente piccole quantità con il normale metabolismo. Un bambino vaccinato con un prodotto contenente formaldeide riceve al massimo 0,1-0,2 mg, mentre nel suo sangue è già naturalmente presente una quantità 5-10 volte maggiore (1 mg).
Quando viene contratta un’infezione, il corpo risponde producendo anticorpi specifici che la combattono ed aiutano la guarigione. Per fare ciò, il sistema immunitario attiva un meccanismo chiamato “memoria immunitaria”, che gli permette di riconoscere l’agente infettivo per molto tempo, a volte per tutta la vita, in modo da essere in grado di difendersi quando lo incontrerà di nuovo. Ciò accade anche nella vita quotidiana, quando l’organismo si difende dai migliaia di virus e batteri presenti ovunque nell'ambiente.
I vaccini proteggono da malattie infettive molto pericolose: che non possono essere trattate (poliomielite, epatite B, varicella) o non sempre efficacemente (difterite, tetano, meningite da emofilo, da meningococco, malattie invasive da pneumococco), che possono causare gravi complicazioni (morbillo, pertosse, rosolia).
La vaccinazione protegge il singolo individuo dalla malattia, ma agisce anche a livello collettivo. Si parla di “herd immunity”, “immunità di gregge” o “immunità collettiva” quando la presenza di un numero sufficiente di persone immuni ad un’infezione in un gruppo permette di evitarne la diffusione al suo interno. Per giovare di essa, è necessario che venga raggiunto un “tasso critico di copertura vaccinale”, quindi una certa percentuale di persone vaccinate. Questa percentuale deve essere più alta tanto più è elevato il “tasso di riproduzione” della malattia, che ne definisce la contagiosità attraverso il numero di soggetti sani che possono essere contagiati da un soggetto malato. L’immunità di gregge permette di difendere da malattie prevenibili e contagiose anche le persone non vaccinate, non ancora vaccinate e che non possono essere vaccinate perché affette da alcune patologie (es. gravi deficit del sistema immunitario).
È importante che i bambini vengano vaccinati rispettando le tempistiche previste dal calendario vaccinale, in modo da proteggerli quando sono più vulnerabili. Il lattante è vaccinabile dal 61° giorno, quando il suo sistema immunitario è pienamente in grado di rispondere alla vaccinazione. Ritardare l’inizio delle vaccinazioni prolunga il tempo in cui il bambino è suscettibile alle infezioni, in un periodo come i primi mesi di vita in cui alcune malattie sono molto più pericolose, e talvolta il prezzo da pagare è alto. Ad esempio, la pertosse nei primi mesi di vita è molto pericolosa, in quanto si manifesta con crisi di apnea. Il rischio di ospedalizzazione è 10 volte più alto nei bambini mai vaccinati contro la pertosse rispetto ai bambini parzialmente o completamente vaccinati. I vaccini somministrati nei bambini piccoli (2-4 mesi) sono efficaci e sicuri, e presentano perfino meno effetti indesiderati che nelle età successive.
Durante gli ultimi tre mesi di gravidanza, la mamma passa i suoi anticorpi al bambino attraverso la placenta: perciò un bambino prematuro riceve meno anticorpi ed ha un sistema immunitario meno maturo, esponendolo ad un maggiore rischio di infezioni. I bambini nati prematuri devono quindi essere vaccinati utilizzando lo stesso calendario vaccinale e le stesse precauzioni dei bambini nati a termine, calcolando l’età dal momento della nascita e non tenendo in considerazione il peso o la dimensione alla nascita. Questi ultimi infatti non sono fattori che possano far decidere di rimandare la vaccinazione di routine in un prematuro clinicamente stabile. Deve essere utilizzata l’intera dose raccomandata di ogni vaccino e dosi ridotte o dimezzate non sono consigliabili. Anzi, proprio perché maggiormente a rischio di infezioni, ai prematuri si consigliano 4 dosi di pneumococco.
Vi è l’opinione che più vaccini somministrati insieme sovraccarichino il sistema immunitario, indebolendolo. In realtà non è così. Se davvero i vaccini indebolissero o compromettessero il sistema immunitario, ci si aspetterebbe una minore risposta immunitaria (sotto forma di una minor quantità di anticorpi prodotti) in seguito alla somministrazione di più vaccini contemporaneamente, rispetto alla somministrazione di un vaccino per volta. Invece gli studi clinici dimostrano che non è così. La somministrazione contemporanea di più vaccini si associa solo ad un aumento di lievi reazioni locali (es. gonfiore, arrossamento, dolore nella sede di somministrazione) e generali (es. febbre), ampiamente controbilanciato dalla riduzione delle iniezioni e dello stress per il bambino e per i genitori.
Il neonato, anche molto piccolo, ha la capacità di rispondere agli antigeni, poiché l’ha sviluppata ancor prima di nascere: già dalla 14° settimana di gestazione sono presenti le cellule B e T. Tale capacità non viene tuttavia utilizzata fino al momento della nascita e nelle prime ore di vita, quando il neonato viene a contatto con più di 400 specie diverse di batteri, ognuna delle quali ha dai 3.000 ai 6.000 differenti antigeni. Ne consegue che un neonato è esposto da subito a circa un milione di antigeni, estremamente di più di quelli contenuti nei vaccini. É stato calcolato che la somministrazione di 11 vaccinazioni pediatrici impegna mediamente solo lo 0,1% del sistema immunitario del bambino. Da considerare inoltre che, sebbene i vaccini proposti aumentino negli anni, essi contengono sempre meno antigeni grazie al progresso sanitario.
La probabilità che la SIDS accada in prossimità di una vaccinazione è alta, poiché la maggior parte dei vaccini vengono somministrati fra il secondo e il dodicesimo mese di vita, periodo in cui la sindrome stessa si presenta. Tuttavia, non esiste alcuna associazione causa-effetto fra vaccini e SIDS, nemmeno per la vaccinazione difterite-tetano-pertosse, che negli anni è stata maggiormente sospettata. Anzi, un ampio studio condotto in Germania evidenzia un maggior rischio di SIDS nei bambini non sottoposti a vaccinazione o sottoposti ad essa tardivamente, risultato confermato successivamente.
Ribadito che i vaccini sono tra i farmaci più sicuri che abbiamo a disposizione essi, come tutti i farmaci, hanno possibili effetti collaterali, solitamente molto lievi (dolore, rossore e gonfiore nella zona di iniezione, irritabilità, rialzo febbrile. Va sottolineato che non tutto ciò che accade dopo breve tempo da una vaccinazione è causato da essa, anche se di fronte alla necessità di trovare un “colpevole” per un evento grave si può essere portati a pensarlo. Solo nel caso in cui vi sia documentata correlazione causa-effetto tra il vaccino ed un evento avverso, è corretto parlare di reazione avversa. Nel 2018, solo 3 segnalazioni gravi ogni 100.000 dosi somministrate sono risultate correlabili ad un vaccino. Le reazioni avverse gravi sono quindi estremamente rare, ma spesso un’enorme risonanza e vengono sovrastimate, con la conseguenza di dimenticare l’elevatissimo numero di malattie, complicazioni, morti prevenute con le vaccinazioni. In tutti i casi, il rischio di subire le complicazioni derivanti dalla malattia è enormemente più elevato di quello di avere effetti collaterali legati ai vaccini somministrati. Possibili reazioni gravi sono convulsioni, reazioni allergiche, piastrinopenia. Le convulsioni sono state segnalate in particolare dopo la somministrazione del vaccino contro la pertosse, anche se con il nuovo vaccino acellulare questo rischio si è fortemente ed ulteriormente ridotto. Inoltre, sia la pertosse che il morbillo sono causa di convulsioni con una frequenza enormemente superiorea quella dei vaccini, ed entrambe le malattie possono provocare danni neurologici gravi e permanenti. Le reazioni allergiche gravi, rare, fino all’ancor più raro shock anafilattico, insorgono nei bambini piccoli poco tempo dopo la vaccinazione, con problemi respiratori (broncospasmo ed edema della laringe), circolatori (ipotensione e tachicardia), vomito e diarrea. È proprio per fronteggiare adeguatamente queste reazioni che si invita il genitore, dopo la vaccinazione, a rimanere tra i 15 e i 30 minuti nella sala d’attesa dell’ambulatorio vaccinale, attrezzato per il loro trattamento. La diminuzione delle piastrine (piastrinopenia) è una rarissima complicanza che si può verificare in seguito alla vaccinazione MPR (morbillo, parotite e rosolia): essa ha comunque una frequenza 10 volte maggiore in caso di malattia. La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato che i vaccini non provocano autismo, diabete, malattie autoimmuni. Non possono inoltre provocare reazioni avverse dopo molto tempo dalla somministrazione. In caso di comparsa di eventi avversi si raccomanda di avvisare sempre il pediatra o il servizio vaccinale in caso di sospetta reazione avversa, per il trattamento e l’eventuale segnalazione della stessa. Il personale addetto ha infatti il compito di trasmettere tutti gli eventi segnalati alla rete di farmacovigilanza dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), per consentirne l’approfondimento e la correlazione con le componenti dei vaccini somministrate.
Prima di eseguire la vaccinazione, il personale procede all’anamnesi prevaccinale, per identificare le situazioni che controindicano (in modo temporaneo o permanente) la somministrazione di un vaccino, o che richiedono particolare prudenza. Si tratta di semplici domande sullo stato di salute, attuale e pregresso, del bambino e della sua famiglia. In particolare: il bambino ha o ha sofferto di malattie importanti? Ha avuto convulsioni (in presenza o meno di febbre)? Assume farmaci o terapia che possono interferire con la risposta immunitaria (es. cortisonici, farmaci antitumorali, terapie radianti, trasfusioni di sangue)? In passato ha avuto reazioni allergiche ad alimenti, farmaci, vaccini, e di che tipo? È stato sottoposto ad esami, visite specialistiche, eventuali ricoveri? Il personale chiederà la documentazione sanitaria e, se riterrà opportuno, si consulterà con il pediatra che ha in cura il bambino. Negli incontri successivi, inviterà a riferire se dopo la vaccinazione il bambino ha manifestato disturbi, valutando se possono essere stati causati dal vaccino stesso e se possono rappresentare una controindicazione alla continuazione del ciclo vaccinale.
L’anamesi prevaccinale è l’unico strumento per vaccinare in massima sicurezza, ed è cosa ben diversa da esami di laboratorio o altri accertamenti diagnostici che dovrebbero stabilire se un bambino presenterà gravi effetti collaterali dopo la vaccinazione (che si ricorda essere eventi estremamente rari), la cui validità non è dimostrata da evidenze scientifiche.
Non è necessario sottoporre il bambino a visita medica, misurazione della febbre o altri accertamenti prima di ogni vaccinazione; si può procedere tranquillamente sia se il bambino sta bene, sia se presenta patologie minori, come un semplice raffreddorre. Se invece presenta sintomi come malessere e febbre, starà al personale del servizio vaccinale la valutazione sulla necessità di rinviare o meno l’appuntamento.
Il tetano è una malattia causata da una tossina che cresce nella sede di una ferita, che può essere anche non evidente. Si caratterizza da contrazioni muscolari dolorose e spasmi. Anche se il tetano si è ridotto notevolmente in Italia a partire dalla sua introduzione come vaccinazione obbligatoria nel 1963 si segnalano ancora alcune decine di casi l’anno e la letalità è alta soprattutto nei bambini e negli anziani. Tra i bambini i casi di tetano sono rarissimi, proprio perché vaccinati, ma sempre possibili. È importante che tutti siano vaccinati perché il tetano non può essere trasmesso direttamente da persona a persona e quindi non esiste il beneficio dell’“immunità collettiva”.
La poliomielite è una malattia infettiva grave, che può essere causata da tre tipi di polio-virus e contagiata per via oro-fecale (ingestione di acqua o alimenti contaminati oppure contatto con la saliva di soggetti ammalati o portatori sani). Si manifesta inizialmente con febbre, stanchezza, vomito, irrigidimento del collo, dolori agli arti. Colpisce i neuroni motori del midollo spinale (causando paralisi di diversa gravità) e, nei casi più gravi, i muscoli implicati nella respirazione, portando a decesso il paziente se non assistito meccanicamente. Nel 2002 la Regione Europea dell’OMS è stata dichiarata polio free, ma finché la polio è presente anche in un’unica area del mondo, resta il rischio di importazione del virus . Perciò è necessario continuare a vaccinare, fino all’eradicazione completa .
Ultimo aggiornamento: 28/04/2021
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